Monica – Una storia per far nascere la speranza

In accordo con i nostri pazienti, abbiamo deciso di rendere note alcune storie, esperienze che possono aiutare molti a ritrovare la speranza.
Questa è la storia di Monica, che scopre di avere la vitiligine a 40 anni.

“Mi dispiace Monica, è vitiligine”. Il dermatologo dell’ospedale della mia città, ha concluso la sua indagine sulle macchie bianche che coprono il decolté e circondano leggermente i miei occhi. Sento dalla sua voce, colgo dai suoi occhi, un autentico sentimento di vicinanza nei miei confronti che porterò con me negli anni a venire come segno di gratitudine per quell’ umanità espressa.

Ignara di cosa significasse quella malattia per me sconosciuta, ho reagito a mio modo, tra l’ingenuo e lo scherzoso, domandandogli: “Ah, ma è quella di Cossiga?” ricordandomi di quel famoso politico dal volto e dalle mani coperte da strane macchie che vedevo alla TV quando ero bambina.

Mi è stato chiaro che c’erano poche cure, giusto per ridurre il danno, come la fototerapia e l’uso di integratori. La seconda reazione, leggendo gli ingredienti di questi ultimi, è stata di sorpresa perché, ricchi di antiossidanti, favorivano la salute e la bellezza della pelle, per cui scherzando dicevo tra me: “Un giorno sarò un’anziana con le macchie ma dall’ aspetto giovanile!”.

Da quel momento in poi ho capito che dovevo prendermi cura di me per affrontare questa novità che portava con sé un destino incerto, insieme all’ idea che avrei fatto tutto il possibile. Ho iniziato subito a fare quanto mi era stato prescritto, pensando che avrei colto con questo evento che mi era capitato l’opportunità di rompere i miei schemi mentali e le mie abitudini: cambiare qualcosa nel mio modo di vivere la vita, sempre di corsa, nel voler fare mille cose. Nella mia mente si era aperta la possibilità di dare spazio a quello che mi faceva stare bene… rallentare e prendermi cura di me! Così ho rivoluzionato il modo di gestire la quotidianità, ho afferrato l’occasione di iscrivermi ad un corso breve di danza classica (il mio sogno nel cassetto, risuscitato dopo i 40 anni!), mi sono dedicata all’attività fisica, al pilates, al progettare viaggi e all’ impegno di andare al mare, coraggiosa e determinata come una guerriera nel mostrare le mie macchie al sole e al cospetto degli altri.

Ogni tanto chiedevo a chi mi era più vicino, se si vedeva qualcosa di me di diverso e le risposte che ricevevo mi facevano vivere sentimenti contrastanti: provavo sollievo perché agli occhi degli altri ero quella di sempre, quindi le macchie non erano la prima cosa che si notava di me, ma anche turbamento perché allora era tutto nella mia testa il timore di essere osservata e il giudizio che davo!

Desidero affermare una cosa fondamentale: non ho mai odiato questa malattia, mi ha fatto paura, la temo ma la rispetto, cerco di tenerla a giusta distanza.

A volte mi fa provare vergogna, mi imbarazza, questo sì, mi fa sentire di non essere a posto. Per questo ritengo che le persone che vivono accanto (come lo sono sempre state mio marito e mio figlio) abbiano un ruolo significativo, per tranquillizzare, ridimensionare le emozioni di paura e di sconforto, rimandare che sei sempre te, che è un cambiamento che “non ti cambia”.

Un giorno, agli inizi, mi è capitato di incontrare per la prima volta, per caso, questa malattia sul corpo di una signora anziana: ho cominciato a sudare ed ho sentito un colpo allo stomaco. L’ ho rivista tempo dopo, addosso al corpo di una donna che conoscevo, della mia età: era completamente ricoperta di macchie, trasformata, non l’avevo mai vista così… anche lo sguardo non era più lo stesso, triste, chiuso in sé stesso.

Guardando l’album dei ricordi, le fotografie del mio passato, è come se nella mia vita ci fossero due storie marcate da una linea che definisce il tempo “prima” e “dopo” l’insinuarsi della malattia: le immagini di me dove non c’è traccia delle “imperfezioni” (le macchie) e fotografie, da un certo momento in poi, in cui ci sono io con le macchie, coperta da sciarpe, maglie con maniche lunghe anche d’ estate, dove fanno capolino ogni tanto piccole macchie sul viso che, seppure ho cercato di nascondere, restano visibili a seconda dell’ esposizione della luce e della distanza dall’ obiettivo.

Nonostante le macchie talvolta non mi facciano sentire spontanea e libera di scegliere come vorrei, riconosco che questa malattia mi ha insegnato a dare le priorità, a lasciare andare le cose, a capire meglio il dolore dei pazienti che incontro ogni giorno al lavoro. Attraverso la mia esperienza di “malata” ho capito quanto sia importante offrire una relazione di comprensione e di ascolto ed un luogo dove poter ritornare per tenere accesa la speranza.

Ho scelto quindi di vedere il problema anche da un altro punto di vista: del resto come avrei fatto a sapere, dando seguito ad altri accertamenti clinici, che avevo la tiroidite di Hashimoto?

Ma non è sempre facile stare su questa posizione, si oscilla e si cade: ci sono stati momenti, all’inizio, in cui ho riversato sulle persone a me vicine l’ansia e l’incertezza mascherate da richieste di aiuto o da pretese quando chiedevo di non farmi arrabbiare perché altrimenti, così dicevo, lo stress mi avrebbe peggiorato la situazione. La parte di me che chiedeva aiuto in questo modo non mi è piaciuta, è stata ingiusta per me e gli altri.

Sono iniziati i cosiddetti “viaggi della speranza” (anche qui ci scherzavo su) verso il nord Italia per aspettare l’uscita di un farmaco risolutore che non è mai arrivato. Ma anche in questo caso, non avevo ancora capito fino in fondo questa malattia.
L’ho vista bene quando mi è arrivata la paura, qualche anno dopo, con l’estendersi delle macchie sul braccio, sulle mani, vicino alla bocca: “lei” aveva superato i miei confini mentali con i quali avevo stabilito i limiti della mia tolleranza e l’idea illusoria che potevo controllare la malattia come volevo. Ma da dove è uscita? Da chi l’ho presa? Mi sono domandata spesso, inutilmente. Il peggioramento avvenuto bruscamente mi ha fatto pensare a quello sguardo della prima visita … e lì ho capito e nel mio cuore ho ringraziato.

L’ ansia che mi portavo dentro, mi ha portato a sperimentare trattamenti inappropriati perfino dolorosi che hanno comportato un ulteriore problema sul problema. Un’ estate, mi sono coperta con camicie e t -shirt a maniche lunghe per nascondere le parti “brutte”: preferivo soffrire di caldo piuttosto che farle vedere! Quell’ anno ho acquistato (e mai più utilizzato) anche un prodotto camouflage. Ringrazio tutte le persone che hanno visto ma non mi hanno chiesto nulla.
Ringrazio di cuore la mia amica dermatologa che mi ha spinto a cambiare la rotta dei miei viaggi, spostandomi verso la costa tirrenica.

Vedere, durante la prima visita, le mie immagini con la luce blu, è stato come avere fatto una doccia ghiacciata: mi sono resa conto della mia realtà e se da una parte mi ha preoccupato, dall’ altra ho sentito in me una sincera liberazione: di fronte a quelle immagini potevo solo decidere di andare avanti e “rimboccarmi le maniche”.

Avevo percepito, prima di quel momento, che non stavo camminando sulla giusta strada e conoscere la verità mi ha spinto a reagire. La situazione era lì di fronte a me, apparsa nella sua drammaticità ma con accanto la presenza di un aiuto e di una spiegazione chiara, rassicurante, scientificamente promettente che ha rafforzato le mie convinzioni e la mia fiducia.
Ogni giorno (ne sono passati nove in tutto) è un impegno verso se stessi, un sacrificio, una speranza. Le cure dei medici che mi seguono ed i loro rinforzi positivi stanno portando ad un’evoluzione progressiva e al raggiungimento di risultati per me inaspettati. Non penso in maniera assillante alla mia completa guarigione né a nascondere come facevo prima: le macchie mi ricordano che se sono diventata una persona migliore lo devo anche a loro.

Oggi, se ci potessi parlare e se loro potessero ascoltarmi, vorrei dire: “Vi ringrazio, mi siete state utili, davvero. Penso però sia venuto il momento di andarvene perché ho imparato. Se però qualcuna di voi volesse restare con me, senza recare troppo disturbo, l’accetterò comunque, potremmo convivere”.

PS. Ho incontrato di recente la mia coetanea, sta davvero molto meglio, non si vede quasi più niente…ho ritrovato in lei il suo sguardo sereno.

Monica

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